Sebastiano De Gennaro

19m40s_Speciale_05 Tz0 The Ghost Game by Sebastiano De Gennaro

Per me raccontare un storia con la musica è un impresa impossibile. Dal mio punto di vista la musica è fatta di un materiale troppo inafferrabile ed astratto perchè si presti al racconto. Lo so, un cantautore, o un compositore d’opera vorrà e potrà obbiettare qualcosa, ma io mi sono convinto che la musica non è una lingua completa e tantomeno un linguaggio universale, le manca un po quella grammatica che è necessaria al racconto. A noi musicisti farebbe bene smitizzarla, questa musica, e ammettere che per ben raccontare una storia, l’arte del fumetto (per esempio) funziona indubbiamente meglio. Fare un fumetto non è cosa facile, potrebbe essere molto più avventuroso e faticoso che scrivere una canzone.

Riferendomi alla personale esperienza che mi ha fatto tirare le sopra scritte conclusioni, aggiungo che quando ho compiuto quarant’anni (ora ne ho quarantadue) sulla mia testa sono piovute una serie di vicende (o forse meglio definirle ‘sfighe’) che mi hanno messo alla prova. E’ come se si fosse esaurita la sabbia di una clessidra, e dal primo giorno degli ‘anta’ la mia vita ha preso dei toni opachi, facciamo pure scuri. In buona sostanza per due o tre motivi piuttosto precisi ho ricominciato a soffrire, come da adolescente, ma ora non c’era più la scusa dell’adolescenza. E’ risaputo che gli artisti, quando sono depressi, scrivono e danno voce al loro sentire; magari lo fanno solo per dare forma al dolore, guardarlo con distacco e buttarlo alle spalle. Magari per addolcire la medicina. Comunque, anche se non diventi Jeff Buckley, è un bel vantaggio. 
Ma a me, che con la musica mi sono sempre occupato fino a spaccarmi le orecchie e la testa, a quel punto non bastava: quanto è inutile di per sé l’arte dei suoni per un quarantenne infelice del mio tipo.

Invece ho scoperto i videogiochi. Per scrivere la storia che volevo raccontare un videogioco era perfetto. I videogame sono un territorio creativo davvero completo, compositi al punto giusto per raccontare e vivere le storie. Hanno pure la musica, per non farci mancare nulla. 
Così è nato il progetto di questo gioco, che in effetti ha visto come primo passo la scrittura della soundtrack ancor prima di venire disegnato e programmato.

Tz0 è un Platform semplice, pieno di riferimenti agli arcade, un gioco a suo modo molto classico. Un platform game programmato non da un informatico ma da un musicista (..aiuto..). Il gioco permette di entrare e muoversi in quegli ambienti che, una manciata di brani musicali, avevano cominciato a descrivere. Mi piace anche definirlo un gioco fatto per ascoltare musica anche se non è del tutto vero. Di certo deluderà gli smanettoni addestrati su Ghost and Goblins e su scalate epiche come in Celeste. In questo videogame poi, vincere è del tutto superfluo e non può dipendere dalle vostre abilità sui pulsanti, anzi, vincere forse è proprio impossibile. Non dico altro, lo scoprirete giocando.

La storia è molto semplice, un pallino verde che si muove. All’inizio è proprio così, Tz0 è un puntino verde. Insomma una storia che non aveva bisogno di grandi architetture narrative né tantomeno di grandi ambienti evocativi. Eppure non saprei raccontare un pallino verde solo attraverso la musica, nemmeno se avessi a diposizione il Concertgebouw di Amsterdam. 


La storia si potrebbe riassumere così: cose che potevano accadere ma che non sono accadute, questo tipo di non-cose sono tantissime mentre il mondo che vediamo è fatto di pochissime cose che potevano accadere e sono davvero accadute.
Ora queste non-cose potrebbero essere pensieri non portati a termine, gesti che stavamo per fare e poi non abbiamo fatto (tipo non rispondere al telefono perchè ha smesso di squillare troppo presto), cose di questo tipo e moltissime altre. In questo videogioco le non-cose arrivano da lontano, sfiorano la nostra realtà e tentano di divenire realtà compiuta e tangibile, ma per l’appunto, in pochissime ci riescono. Questo luogo vicino a noi che ancora ‘non è’, è il luogo dove Tz0 si muove, assomiglia ad un limbo, e muta mano a mano che ci si avvicina alla porta.

Per concludere, io il videogioco lo ho fatto, ci ho messo due anni. Ora tu dovresti almeno concedergli un tentativo di gioco. Se sei un abbonato con uscita speciale lo riceverai nella notte di Halloween 2021, potrai giocarci o semplicemente ascoltarti la soundtrack suonata da noi Esecutori di Metallo su Carta. 
Se non sei abbonato ma non resisti al fascino misterioso di Tz0, puoi comunque stare tranquillo, lo troverai a breve in vendita proprio su questo sito.

Cosa resta da dire? giusto 4 cose:

1-funziona su Windows e Linux.

2-freccie destra e sinistra per muoversi.

3-freccie su e giù per arrampicarsi.

4-barra spaziatrice per saltare.

Buon divertimento.

Sebastiano De Gennaro

Il virus cambia la musica ma non le fa male by Sebastiano De Gennaro

Karlheinz Stockhausen, Tierkreis
the upside down versions
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(foto Lorenzo Brusci)

(foto Lorenzo Brusci)

17 marzo 2020

Prima sospesi ed ora sottosopra. Non è un film, ripeto dentro me. Sì è un film: siamo tutti protagonisti di un film a cui difficilmente crederemmo se non fosse davvero qui, fuori dalle nostre porte. E questa volta, senza volerlo, il disco in arrivo (se riuscirà a raggiungere le vostre case) è la perfetta metafora della drammatica attualità: il tempo e le nostre cose quotidiane, da un momento all’altro, hanno assunto lunghezze e forme diverse, a cui non eravamo proprio preparati.

Tierkreis (Zodiaco) The Upside Down Version (la versione sottosopra), sarà la nostra undicesima uscita, e la ricorderemo perché caduta nel mezzo di questa pandemia. Sarà un disco dedicato ai Tierkreis di Karlheinz Stockhausen; dodici melodie, una per ogni segno dello zodiaco. La nostra sarà una doppia versione, il diritto ed il rovescio, il prima e il dopo. Le prime dodici tracce sono infatti la mia versione, tesa ad una malinconica, intima e familiare poesia fatta di semplicità di mezzi e sottrazione di suono (tre tastiere Casio ed un violino). Altrettante dodici tracce sono la stessa opera ma osservata ‘dall’altra parte dello specchio’: la versione infetta di Lorenzo Brusci, che ha raccolto la nostra esecuzione dei Segni in occasione del festiva AngelicA di Bologna e la ha spettralmente elaborata. Lorenzo è riuscito a catturare l’ombra (il reverbero) di quei dodici segni, con l’abilità e la pazienza di chi cerca di catturare sulla pellicola fotografica l’invisibile.

Ascoltare questo disco per me è come osservare il prima, e l’adesso, la nostra quarantena. Ciò che era familiare e certo ora non lo è più, siamo nel sottosopra (citando la serie televisiva Stranger Things). Mi viene in mente un sogno ricorrente che facevo da ragazzino: è buoi ed io entro nella mia camera da letto facendo il consueto gesto verso l’interruttore per accendere la luce, ‘clik’, ma stranamente qualcosa non funziona, la lampadina si accende ma la sua luce è talmente fioca che la stanza rimane buia. Questo sogno mi faceva paura come me lo fa questa epoca pestilenziale.

C’è da dire che la paura è estremamente interessante (come diceva Hitchcock), ed infatti questo disco è interessante oltre ad essere profondamente bello e misterioso. Dato che pare dovremo adattarci alle grandi solitudini, Tierkreist sarà un buon compagno per rendere intense le nostre solitudini.

(video Furio Ganz)


19'40" al padiglione francese della Biennale di Venezia: una delle più belle esperienze di registrazione che ci sia capitato di vivere by Sebastiano De Gennaro

La sera del 29 ottobre 2017, sotto un tramonto apocalittico, carico i miei strumenti in auto e parto per Venezia. 19’40” nella persona di Enrico Gabrielli, ed aggiungo degli Esecutori di Metallo su Carta, di me e di Francesco Fusaro, è tra gli artisti invitati per una residenza di due giorni al padiglione di Francia della 57° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale.
Nel viaggio rifletto: facciamo musica, facciamo anche musica contemporanea, ma nessuno ci ha invitato alla Biennale Musica (difficilissimo arrivarci qualcuno mi disse) , nessuno forse mai lo farà ed ho la sensazione che ci guarderebbero con sospetto, forse con disprezzo. Invece ci ritroviamo alla biennale arte e tutto ciò deve avere un senso. Probabilmente c’è qualcosa in 19’40”, nell’umanità del nostro ensemble, nella leggerezza con cui affrontiamo le musiche più serie, nelle stranezze dei nostri progetti, qualcosa che evidentemente ci avvicina più ad una esposizione di arte contemporanea e ci allontana dal mondo impenetrabile della musica contemporanea. 

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 Il Padiglione di Francia è stato trasformato in uno studio di registrazione, il progetto è dell’artista Xavier Veilhan  (il primo ad accoglierci alla mattina del 30 ottobre) e si chiama Studio Venezia. Facciamo così il nostro ingresso  in questo eccezionale spazio di cui in molti mi avevano parlato. L’architettura di questo padiglione, risalente al 1912 e collocato in fondo ai giardini sulla sinistra,  è stata completamente trasfigurata al suo interno: una serie di ambienti geometrici e disarticolati realizzati esclusivamente in legno mi fa sentire un leggero senso di vertigine, quasi piacevole, forse perché in queste due ampie sale di ripresa non ci sono 8 angoli ma centinaia, e non si riesce a comprendere minimamente quale parete possa essere considerata il soffitto. Leggo che l’opera di Xavier è ispirata ai Merzbau di Kurt Schwitters, ed i termini giusti per definire le superfici, gli spazi, gli angoli di questo studio sono infatti giusti se raccolti dall’arte di Schwitters: dadaismo, costruttivismo, cubismo. Aggiungiamo, come si notava con Francesco ed Enrico, i termini glitch e digitale: non esistono curve, esistono solo angoli, spigoli, rette che si intersecano, o zero o uno ma nessuna sfumatura.

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Thibaut Javoy è il tecnico audio che ci mostra la regia, il banco mixer e tutta l’attrezzatura provengono dallo studio mobile di Nigel Godrich, con questo banco i Radiohead hanno registrato OK Computer e In Rainbows, il suono che ne esce è eccezionale, ce ne accorgiamo dopo pochi minuti di registrazione, si sente tutto, anche ciò che non vorremmo sentire. Adesso quindi bisogna suonare il meglio possibile.
In questi due giorni gli Esecutori di Metallo su Carta registreranno i sette brani che compongono i Pianeti (The Planets, op.32) del compositore inglese Gustav Holst, nella versione per 13 esecutori che realizzammo lo scorso anno dal vivo a Contemporarities. Un mare di lavoro in pochissimo tempo, per realizzare quello che sarà il sesto disco della nostra collana, 19m40s_06 in uscita il 6 agosto 2018.

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Alle 12:30 del 30 ottobre l’ensemble è al completo, violino, viola, violoncello, contrabbasso, pianoforte, clarinetto, oboe, due percussionisti ed un direttore d’orchestra (mancano gli ottoni che sovra incideremo a casa), siamo in dieci e cominciamo a lavorare. Thibaut ed il suo assistente Edoardo registrano tutto. Francesco ascolta con la partitura e prende nota delle take buone. Quello che solitamente è l’ambiente intimo, concentrato, silenzioso di un recording studio, è da subito percorso da fiumi di visitatori che si ritrovano, con stupore, in un luogo che non è il loro, dove bisogna camminare delicatamente su un pavimento in legno che scricchiola ad ogni passo. la maggior parte evidentemente non ha mai assistito a delle vere sessioni di registrazione, l’esperienza non è banale, né per loro ne per noi. In più momenti chiediamo il silenzio, “20 secondi di immobilità per favore”, ci sono passaggi difficili e delicati da registrare, sbagliamo e ripetiamo, ripetiamo e ripetiamo, la tensione è palpabile e quando il direttore dice “ce l’abbiamo” la gente applaude quasi come un naturale riflesso al nostro respiro di sollievo. E’ chiaramente straordinario per tutti i visitatori assistere alla nascita di un disco, scoprire tutto ciò che arriva prima del momento in cui lo metti e te lo ascolti dalle casse dello stereo.

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In due giorni di lavoro abbiamo registrato circa 14 ore di musica. Il 31 sera, la sera di Halloween,  alle 19:30 terminiamo la coda di Neptune il settimo movimento dei pianeti, abbiamo finito, alle 20:00 il padiglione chiude e già una barca aspetta fuori i nostri strumenti per riportarli al tronchetto. Ci salutiamo in maniera affettuosa, con Xavier, Thibaut, Edoardo, Arianna, Eleonora, tutti davvero gentilissimi. Sulla barca ci scende una stanchezza enorme, credo bella, io sono sconvolto dalla fatica.

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Riassumere l’esperienza è difficile, lo farà questo disco certamente meglio di ogni nostro racconto. Sicuramente resterà per noi una delle più belle esperienze di registrazione condivisa. Oltre a me ed Enrico gli Esecutori di Metallo su Carta questa volta erano: Maria Silvana Pavan (pianoforte), Yoko Morimyo (violino), Matteo Vercelloni (violoncello), Carlo Sgarro (contrabbasso), Ambra Cozzi (oboe), Lorenzo Boninsegna (viola), Matteo Lenzi (percussioni), Marcello Corti (direttore). A loro và il primo e più caloroso ringraziamento.

Sebastiano De Gennaro

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Il Picchio di Sebastiano De Gennaro by Sebastiano De Gennaro

Cosa poteva essere per l’ominide nella preistoria il suono? La percezione del suono ed il suo utilizzo? Non lo sappiamo, o lo sappiamo in parte. Probabilmente passava attraverso la voce, ma contemporaneamente, e forse prima, era la percussione.
Forza gravitazionale: è in questa attrazione naturale della terra che si spiega e si manifesta il gesto del percuotere, ciò che permette di percepire il peso, la caduta ed il suono. Un processo che sul nostro pianeta si ripete ogni momento, da sempre, e che effettivamente può esser considerato l’origine più remota ed arcaica della musica.

Prendiamo ad esempio un animale, il Picchio. La sua percussione è rapida e precisa come se fosse quantizzata da un software ‘beat detective’, è scandita nel tempo con pause non casuali, il timbro varia se il picchio batte sul legno, sul metallo o sulla pietra; è un linguaggio complesso, so che è estremamente antico eppure suona alle mie orecchie spaventosamente moderno. Così è proprio il percuotere del picchio ad essere la perfetta metafora per descrivere ciò che è questo disco: una raccolta di forme e linguaggi musicali complessi che adoperano il mezzo primitivo della percussione.    
Percussione ed elettronica, un meraviglioso connubio di genesi e sviluppo, il senso del tempo, l’origine e l’evoluzione.

 

Il Picchio, l’imminente terza uscita 19’40”, è un disco a cui pensavo da tempo, un’impresa che finalmente realizzo: raccogliere cinque composizioni per percussione sola ed elettronica di autori viventi ed in attività (alcuni molto giovani) che nel DNA contengano il gesto primordiale della percussione ed il suono evoluto dell’era digitale. Louis Andriessen, David Lang, Edmund Campion, Nikolay Popov ed Enrico Gabrielli (la cui composizione Coppia di Allotropi del 2017 prende forma per la prima volta su questo disco) sono i protagonisti de Il Picchio ed assieme alla loro rara e bellissima musica, hanno dato concretezza a quest’opera il violino e la viola di  Yoko Morimyo, il mix di Roberto Rettura, i disegni di Pietro Puccio, le parole e le idee di Francesco Fusaro.

Sebastiano de Gennaro